“In Emilia-Romagna ci si perde sempre, per ritrovarsi nella miriade di sfaccettature che la compongono”

Cristo siamo abituati a vederlo camminare sulle acque, fare miracoli o ammonire farisei. Ma a farlo fischiare ci sono riusciti solo gli emiliani, la penna di Giovannino Guareschi e le musiche di Carlo Rustichelli per l’esattezza.

È il 1972 e giovani capelloni mettono in subbuglio l’austerità del PCI del paesino reggiano, ma per par condicio anche la tonaca di Don Camillo, che si trova a fronteggiare l’esuberanza di una nipote che alla fine si sposa in chiesa, ma a modo suo, con il figlio del sindaco comunista. “Adesso siamo anche parenti in qualche modo” “Parenti un corno! Ti sembrava un matrimonio quello? Con la chiesa ridotta ad una balera?! E non fischiare quella musica, sai?” Ma Peppone sta fumando il sigaro… e sull’argine del Po ci sono solo lui e Don Camillo.

Doveva ancora arrivare l’anno in cui a Bologna non si perde neanche un bambino, figurarsi nella bassa. In realtà, in Emilia-Romagna ci si perde sempre, per ritrovarsi nella miriade di sfaccettature che la compongono. Una commistione di generi che viaggiano da sempre in questo “porto” aperto ad ogni genere di cultura che, dall’antichissima tradizione universitaria, arriva a quella contadina intesa proprio come bene culturale, passando dalla musica in tutte le sue declinazioni, al cinema, al teatro, alla scrittura, all’arte.

Le zingarelle della Traviata vengono “da lontano” e cantano in coro con i mattadori in un tripudio di atmosfere esotiche. Violetta stessa, inizialmente “retrodata” al 1700 per non urtare la sensibilità del tempo, ha poi varcato ogni confine spazio-temporale tanto da essere spesso considerata un’antesignana della Marinella di De Andrè. Lo stesso cantautore, in un’intervista, disse che la canzone di Marinella sembrava una canzone napoletana scritta da un genovese. Non una definizione la sua, ma una sensazione. De-finire vuol dire mettere dei confini. Ciò che sentiamo invece, li travalica. Lo stesso sentire di Guccini che si chiede se i bolognesi si siano confusi e legati a migliaia di mondi diversi.

Un’area di import-export del sapere dove vige il libero scambio, insomma. Del resto, questa regione è uno zibaldone in continuo divenire da cui tutti possono attingere, ma anche dove tutti possono annotare esperienze, idee ed aspirazioni. Lo stesso territorio, fisicamente chiuso fra gli Appennini ed il mare, si apre al resto del mondo tramite il Po e la via Emilia, due elementi, uno naturale, l’altro antropico che rappresentano il movimento, un panta rei che si traduce in una sorta di monito contro le derive isolazioniste che ci vogliono diffidenti e chiusi.

Perché quando la sovranità popolare verrà a chiederci conto e ragione dei nostri comportamenti e le dovremo confessare che spesso abbiamo confuso voto e televoto, credendoci in alcuni casi popolo sovrano ed in altri sovrani del popolo da cui ci siamo snobisticamente dissociati, la musica ci potrà rinfacciare che lei gli strumenti per guardare oltre ce li ha sempre forniti, ma noi spesso abbiamo semplicemente fatto un lavoro di campionatura. Attendiamo il premio della critica.

Eva